Nunatak n. 71-72 – inverno-primavera 2024

SOMMARIO

Editoriale

Il trattore è nudo. Contributi vari (“Comunità di resistenza contadina Jerome Laronze” – Genuino clandestino FI, “La Terra Trema”, Giobbe)

Sabato Gaza assomigliava al Nagorno Karabakh, di Pepi

Baite di piombo. Un racconto degli anni ’70, di Lele Odiardo

La vendetta della tradizione. Su come il sapere tradizionale
trasmette idee dissidenti
, di Francesca

In coda sull’Himalaya, di Marti

Questa terra… la “mia” terra?, di Gianni Sartori

Amboùërn. Il maggiociondolo: pianta malefica, di Autore ignoto

EDITORIALE

Un doppio numero, invernale/primaverile. Avendo accumulato un po’ di ritardi abbiamo preferito accorpare due numeri per riportarci “in pari” con le stagioni. Era ormai qualche anno che riuscivamo a evitarlo, tenendo il ritmo di un numero a stagione, ma non è semplice stare sempre al passo con nuovi articoli, correggere, impaginare, stampare, spedire, distribuire oltre mille copie ogni tre mesi. Soprattutto per noi, per cui questo non è un lavoro, ma che anzi dobbiamo ritagliarci il tempo tra le mille altre cose che richiede il continuare a cercare di resistere e ritagliare spazi di autonomia e libertà in montagna. Non è facile ma andiamo avanti, ostinatamente, soprattutto perché i riscontri che ci arrivano dai lettori, dagli abbonati, dai collaboratori sono incoraggianti. Nonostante tutto. Nonostante il mondo che ci circonda sembri andare da tutt’altra parte rispetto ai nostri desideri. O forse proprio per questo. Perché in questo sfacelo c’è bisogno di tenere il punto, per quanto possiamo, difendendo e stimolando un’altra idea di montagna.

Del resto i conflitti non mancano. Come sulla questione agricola, la cosiddetta lotta dei trattori, di cui si parla nel primo articolo di questo numero, in realtà una raccolta di tre scritti sull’argomento: IL trattoRE È NUDO. La conformazione geografica della montagna ha per certi versi preservato questo territorio dalle monoculture industriali. Ma ciò non significa che i suoi effetti non arrivino anche qui, dove prevale la piccola attività contadina e famigliare. In un mondo oramai interconnesso anche la periferia più lontana risente di quanto succede nel centro. Nessuno, anche volendo, può pensare di chiamarsene fuori. Le condizioni per poter restare – e vivere decentemente – in montagna sono condizioni generali, non solo locali, e vanno conquistate con una battaglia complessiva a cui chi vive in montagna non si può sottrarre. Perciò è fondamentale interfacciarsi con i conflitti che ci circondano – sia che ci piacciano sia (forse a maggior ragione) che non ci piacciano – cercando di comprenderli, partecipandovi, dicendo la propria. È ciò che provano a fare gli autori e le autrici dei contributi che abbiamo raccolto.

Il secondo articolo, Sabato Gaza assomigliava al Nagorno Karabakh, è il completamento di due articoli con cui, tre anni fa, parlammo della guerra tra armeni e azeri nei monti del Caucaso, una guerra che negli ultimi mesi è arrivata a una svolta tragica. Si parte quindi dal Nagorno Karabakh, ormai etnicamente ripulito della sua popolazione armena nel silenzio generale, per arrivare alla Palestina e a Israele, passando per i monti del Kurdistan. È un lungo viaggio nella storia e nell’immaginario di un territorio all’incrocio tra continenti e popoli, che è da sempre e ancora oggi un laboratorio di violenze ma anche di speranze. È anche un modo per guardare con altri occhi al genocidio in corso a Gaza, e più in generale al conflitto arabo israeliano, a partire dalle sue radici: la modernità capitalista, il colonialismo, gli Stati nazione. Perché è soltanto estirpando quelle radici che si possono immaginare delle soluzioni differenti, per quanto oggi possano sembrarci lontane, addirittura impensabili.

Anche il terzo articolo, Baite di piombo, è in qualche modo la conclusione di un “ciclo”, quello della storia del MAO, il Movimento Autonomista Occitano. Ma è un episodio a sé stante, un evento laterale, minore, accaduto a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, tra la parabola della lotta occitanista e gli ultimi fuochi di guerriglia nelle metropoli italiane. In queste vallate, incidentalmente, questi due mondi così distanti si sono incrociati, passandosi accanto senza vedersi (o magari no), in un episodio di microstoria locale raccontato in questa cronaca dallo stile quasi “poliziesco”.

La colonizzazione turistica e la mercificazione della montagna, anche delle sue vette più alte – con il corollario di inquinamento, sfruttamento, spossessamento – è il tema dell’articolo In coda sull’Himalaya, che ci mostra il livello di schifo e abiezione raggiunto dall’alpinismo nella sua fase 4.0. Un resoconto terminato il quale verrebbe proprio da urlare: “Alpinisti di tutto il mondo… statevene a casa!”.

Un tema più volte affrontato su queste pagine, con tagli e punti di vista diversi, attraversa gli altri tre articoli di questo numero: la tradizione. Un concetto ambiguo, bistrattato, tirato da una parte e dall’altra, usato e strumentalizzato per istanze e forze le più diverse tra loro. Come è normale ed è giusto che sia. Perché, come diceva qualcuno, custodire la tradizione vuol dire ravvivare il fuoco, non adorarne le ceneri. La tradizione è una cosa viva, un campo di battaglia, sarebbe suicida lasciarlo in mano nemica. Tanto più che, come emerge dall’articolo La vendetta della tradizione, essa – incarnata nel variegato mondo dell’oralità, dei dialetti, dei saperi, di riti, fiabe e canti popolari – è da sempre strumento di resistenza e di dissenso contro l’omologazione dominante. Saperi orali, miti, leggende, sono anche il terreno su cui si svolge il cammino tra Veneto e Trentino narrato in Questa terra… la “mia” terra? Un viaggio sulle tracce di cimbri, mocheni, ladini, veneti e trentini, che ben presto si perde tra “epifanie” e presagi, nelle spire di antiche leggende e primigenie divinità. Così come di saperi tradizionali si parla nell’ultimo scritto, Amboùërn, quello sul Maggiociondolo, questa splendida pianta, velenosa e al tempo stesso preziosissima, i cui molti usi vengono qui ricostruiti attraverso testimonianze di montanari occitani e piemontesi del secolo passato.